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Una proposta dall'america latina per un'eco-educazione globale
La carta della terra degli educatori - verso l'anno 2.000
Introduzione Il primo gennaio dell'anno 2.000 le Nazioni Unite proclameranno la Carta della Terra, dando seguito agli impegni assunti dai Popoli, dalle Nazioni, dagli Stati e dalla Società Civile nella RIO-92, tanto nel Forum Globale quanto nella UNCED (United Conference on Environnement and Developpement). Tuttavia tutti gli sforzi in questo senso serviranno a nulla se la Carta della Terra rappresenterà appena un insieme di principi elaborati da specialisti, negoziati politicamente dai governi e semplicemente proclamati. Essa ha bisogno di essere innanzitutto vissuta nel quotidiano delle persone. Perché ciò avvenga nei fatti, è necessario un processo collettivo di educazione, sistematico e organizzato, il quale ci assicuri che, al sopraggiungere dell'anno 2.000, il maggior numero possibile di cittadini del pianeta non solo abbia preso conoscenza del contenuto della Carta, ma abbia partecipato attivamente alla sua elaborazione e preso coscienza del fatto che un futuro salubre della Terra dipende dalla creazione di una cittadinanza planetaria. Questa cittadinanza deve basarsi su un'etica integrale di rispetto a tutti gli esseri umani con i quali condividiamo il pianeta. Dalla capacità di intendere oggi la situazione drammatica nella quale stiamo, causata dal degrado dell'ambiente, dipende il "nostro futuro comune". Abbiamo la certezza che lo sviluppo sostenibile diventerà il tema più importante della educazione dei prossimi decenni e il ruolo dell'educazione comunitaria sarà decisivo per un mutamento di mentalità e attitudini. Non basta soltanto leggere e informarsi sul degrado dell'ambiente. Senza un processo educativo la Carta della Terra può diventare un'ulteriore dichiarazione innocua di principi. [...] Per questo la proposta della regione latinoamericana è che tutto un processo pedagogico sia sviluppato fino al 1999, attraverso l'UNESCO, l'UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente), il Consiglio della Terra, l'ICEA (Associazione Internazionale per l'Educazione Comunitaria) e, per quanto riguarda il Brasile, l'Istituto "Paulo Freire", per giungere prima del 2.000 alla proclamazione di una Carta della Terra degli Educatori. Prima Tappa (1996-1997) A partire dal secondo semestre 1996 la ICEA-LA (Regionale latinoamericana dell'ICEA) sta sperimentando una metodologia di lavoro con gruppi sociali e popolari in 7 paesi dell'America Latina attraverso una Convenzione firmata da l'ICEA-LA e il Consiglio della Terra. La ICEA-LA realizzerà una consultazione sui contenuti della Carta della Terra sistematizzando i risultati e la metodologia che si aggiungeranno agli sforzi delle altre organizzazioni nell'Assemblea "Rio+5" che si realizzerà in Rio de Janeiro nel marzo 1997, sotto gli auspici del Consiglio della Terra, con l'obbiettivo di valutare lo stato di avanzamento degli impegni programmatici assunti a Rio-92. Verso il 2000 L'obiettivo finale è quello di convocare in San Paolo nel 1999 la Conferenza Mondiale che dovrà elaborare il testo definitivo della Carta della Terra degli Educatori che darà risposte, maturate sulla base delle diverse esperienze, agli interrogativi: Come deve essere il cittadino del 2000? Come deve essere l'educatore per una cittadinanza planetaria e sostenibile?
"Pace & amore e educazione ambientale: ovvero, come ripoliticizzare l'educazione"
Guarda la società contemporanea e prova a rispondere: verso dove va? Seconda domanda: è possibile affermare, a partire dalla risposta alla prima domanda, l'esistenza di un unico gruppo sociale e di un unico punto d'arrivo?
Ovviamente ambedue le risposte sono praticamente impossibili, giacché la pluralità di linguaggi, desideri e articolazioni che si verifica nella costituzione del cosiddetto tessuto sociale è tanto complessa che un suo ordinamento e una sua classificazione sono impraticabili.
Da un lato, a partire dai mezzi di comunicazione di massa, dal "fast-food", dalle mode e dagli appelli pubblicitari al consumo di cose e prodotti, all'interno di un'escalation globalizzata, abbiamo praticamente trasformato i corpi degli esseri di tutto il pianeta in corpi uguali, rendendo i sensi del gusto tutti simili, imponendo, nello stesso modo a africani e a europei, a asiatici e latini, che le loro cucine siano le stesse, che i loro soggiorni abbiano gli stessi profumi, che le loro stanze abbiano gli stessi colori. Si impongono omogeneità dappertutto. Ci vogliono formattati, inscatolati, etichettati.
D'altro canto, contraddittoriamente, oggi abbiamo accesso ad Internet, abbiamo telefoni cellulari, fax, terminali informatizzati che ci informano in tempo reale sui nostri saldi bancari e su come conoscere meglio i nostri itinerari di viaggio, abbiamo assistenza personalizzata nei negozi, nelle banche, nei supermercati, nei rivenditori, siamo, in conclusione, in quanto consumatori, delle individualità rispettabili, unità produttrici di opinioni e valori che ricreano ininterrottamente il mercato.
"Il cliente ha sempre ragione". Ancora, in questa stessa linea, dobbiamo ricordarci che non solo in quanto consumatori siamo depositari di individualità, ma, secondo discorsi per ora minoritari, anche con le nostre articolazioni per genere, opzione sessuale e volontà di militanza politica alternativa - come ad esempio la creazione e l'ampliamento del concetto di ONG, oggi proiettate nell'organizzare e difendere i più diversi temi - sono in corso processi di eterogeneizzazione ricchissimi, quasi negazioni assolute del processo precedentemente indicato, quello della massificazione e dell'appiattimento dei linguaggi.
In particolare più che mai la figura dell'educatore sta per essere chiamata a incorporare nelle propria pratica elementi di trasformazione dell'attività didattica, cercando di coniugare al suo compito tradizionale, che è quello di formare , informando, le future generazioni, le letture critiche della realtà attuale, non trascurando ingredienti tanto pertinenti come quelli che abbiamo toccato poco sopra. E ciò che cosa significa? Significa affermare che la scuola e gli educatori/professori hanno bisogno di una lettura critica della realtà sociale che gli permetta di muoversi autonomamente per i sentieri dell'informazione con una certa chiarezza. Per questo devono possedere strumenti teorici di analisi che gli permettano di comprendere la complessità del reale, trasferendola nell'attività didattica senza esclusioni e frammentazioni, condizione minima per chi vuole formare i giovani e i bambini a partire da principi costitutivi di comportamenti etici.
E molto è stato prodotto, all'interno delle università e dei centri di ricerca, perché si trovino risposte esaurienti, profonde e pertinenti a questi problemi. Però, è con estrema difficoltà che il professore, a causa del suo carico di orario eccessivo, del suo basso salario, della sua scarsa possibilità di informarsi e aggiornarsi, riesce a realizzare quei salti qualitativi che gli permettano di ricostruire la sua pratica nella direzione sopra indicata. Gli mancano strumenti di lavoro. Non gli vengono offerte alternative adeguate alle sue reali condizioni di operatività.
Più che mai si rende necessario, pertanto, recuperare i dibattiti sui presupposti politici dell'educazione in generale e della scuola e dell'attività dei professori in particolare. La ricostruzione o la ripresa di discussione sulla funzione che la scuola occupa nelle attuali società è particolarmente importante, giacché questo dibattito potrà proiettare nuove luci sugli scenari costituiti. Lo scontro con le pluralità del reale esige opzioni di alto profilo e queste non si definiscono se non nell'incontro pluralistico di letture, critiche, linguaggi e punti di vista.
Una delle costruzioni pratico-teoriche più interessanti, che ultimamente si è proposta alle realtà educative e scolastiche, è l'educazione ambientale. A partire dalla constatazione del suo passato, della sua genesi, possiamo affermare che quella che chiamiamo educazione ambientale possiede le condizioni necessarie per ricollocare la pluralità come punto di partenza nella riconfigurazione del dibattito politico sulla funzione dell'educazione e della scuola. Figlia diretta delle manifestazioni e dei movimenti della fine degli anni '60, a partire dal pacifismo e dall'ambientalismo, essa porta con sé i tratti originali di un periodo molto ricco della storia umana recente: contestazioni, esplosione di bisogni, libertà sessuale, differenziazioni, rispetto delle diversità, non violenza, alternative politiche e culturali. Pertanto, cos" come avviene all'interno degli altri spazi educativi, anche l'educazione ambientale soffre delle mode e dei condizionamenti tipici del nostro periodo. A volte, pressati dalle esigenze del mercato - da dove viene la sopravvivenza - gli educatori ambientali hanno prodotto dei "riduzionismi", cioè, in pratica, offrono alle scuole e ai professori "studi di caso", laboratori di riciclaggio della spazzatura, "passeggiate ecologiche" nella forma di percorsi guidati, che rappresentano momenti episodici di attività ambientali, ma che, di fatto, non ampliano le diverse letture possibili offerte da una teoria più profonda. Insomma oggi stiamo assistendo a una distorsione di ciò che potrebbe essere un'effettiva educazione ambientale!
Ora si presenta la questione: che fare, che educazione produrre?
La natura ci offre relazioni complesse di sopravvivenza. Prendiamo la logica di funzionamento degli ecosistemi. L'integrazione equilibrata fra i vari momenti della vita di un settore dello spazio naturale può indicarci che la pluralità di interessi e le molteplici concezioni sulle cose della vita devono essere rispettate e mantenute. Ciò significa dire che lo studio comparato tra lo spazio naturale e lo spazio umano riscontra una sua validità nel mantenimento delle complessità che ambedue comportano come loro caratteristiche fondamentali. Se osservassimo la realtà scolastica, vuoi dal punto di vista storico, vuoi nell'attualità congiunturale, verificheremmo che siamo di fronte a un campo di disciplinarizzazione, esclusione, frammentazione, sintesi ed egemonie. Parliamo poi di un'istituzione il cui modello costitutivo è quello del potere centralizzatore - "dividere per dominare" - dove si cerca costantemente la definizione della verità, del paradigma, del controllo di un gruppo su un altro. Cos" non avviene nella natura. Le stesse lotte che si scatenano nell'ambito dello spazio naturale avvengono per la ricerca del mantenimento di equilibri e non di distruzioni!
La natura ci offre relazioni complessive. Essa ignora il discorso disciplinare escludente. La sua disciplina è costituita dal caos dei processi di trasformazione. Il suo presupposto esistenziale è la diversità; essa include, non esclude; seleziona, non annichilisce; produce differenze, non vede nemici. L'educazione ambientale deve osservare queste "lezioni" e proporre la loro incorporazione nel quotidiano scolastico. E lì, evidentemente, non si tratta di trasformare queste cose in ricette, vendendole in forma di attività. Si tratta, al contrario, di ecologizzare politicamente la pratica educativa, abbracciando, caleidoscopicamente, in un ampio ed infinito processo di creazione e trasformazione delle pratiche scolastiche, le diversità socio-culturali, le discipline dei processi caotici di trasformazione del reale e della quotidianità, rileggendo i poteri che si impongono con il dominio in favore al contrario delle convivenze e delle cooperazioni, incorporando e rielaborando paradossi, contro la dittatura dei paradigmi, relativizzando i saperi e le verità.
L'educatore che pretende lavorare in questa prospettiva deve, al limite, negare l'educazione ambientale come esclusivo insieme di pratiche, appendice delle attività scolastiche.
Sarà necessario, al contrario, cercare la creazione di letture teorico-politico-pratiche del che-fare educativo, nei dibattiti e nei convegni, ricreare le scienze dell'educazione, ecologizzando l'educazione, costruendo una Eco-Pedagogia.
Fabio Cascino
collaboratore dell'Istituto Paulo Freire
San Paolo 20 settembre 1996
Ecologia globale, america latina e pedagogia quotidiana
L'anno 1992 fu segnato da tre avvenimenti di risonanza mondiale per quanto riguarda l'ecologia globale e l'America Latina: la realizzazione a Rio de Janeiro della Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sull'Ambiente e lo Sviluppo; la commemorazione dei 500 anni dell'America latina e l'inizio, quasi completo, del funzionamento della Comunità Europea.
La ECO-92 fu l'occasione perché i problemi ecologici del continente fossero discussi, purtroppo separatamente, dai rappresentanti dei governi e dalla società civile internazionale. Quel grande incontro, venti anni dopo la prima conferenza realizzata in Stoccolma (Svezia), segna il passaggio dalle posizioni retrograde dei governi dell'America Latina, sotto i regimi militari, e dall'iniziativa di gruppi ecologisti minoritari ad una fase in cui l'ecologia diventa tema di discussione e preoccupazione, non solo di quest'ultimi, ma anche di militari, politici, intellettuali, artisti, tecnocrati, dell'uomo comune, della chiesa, delle università, dei sindacati, dei mezzi di comunicazione di massa, dei diversi movimenti sociali, ecc.
La ECO-92, coincidendo con la commemorazione dei cinquecento anni dell'America Latina, permette l'analisi del modello di sviluppo, del genocidio, del disprezzo per le culture autoctone, e dello sfruttamento delle risorse naturali, imposti fin dall'inizio dai colonizzatori.
La storia fornisce gli strumenti analitici necessari per la comprensione del mondo contemporaneo che si caratterizza per la formazione di nuovi blocchi politici, militari ed economici, di cui la Comunità Europea è l'esempio più evidente, blocchi che hanno pesanti ripercussioni su di noi paesi poveri e in via di sviluppo dell'Africa, dell'America Latina e dell'Asia.
In America Latina, la formazione di blocchi sovranazionali come il NAFTA e il Mercosur sono degli esempi recenti di questa tendenza. La rapidità con la quale furono formati, avendo la Comunità Europea allo stesso tempo come modello e avversario, ha spinto a non considerare proposte più ampie di integrazione continentale, elaborate fin dai tempi di Bolívar e di José Martí. Il rapporto con i colonizzatori, l'identità nazionale e latinoamericana, l'uso e il riconoscimento delle eredità culturali sono gli elementi contraddittori e i motivi di divisione e di tendenza fra i diversi intellettuali.
"Cent'anni di Solitudine" inaugura la fase del pensiero latinoamericano nella quale per la prima volta nella Storia siamo contemporanei di tutti gli uomini.
Uno degli aspetti che caratterizza una nuova generazione di intellettuali è la ricerca di oltrepassare l'ambiguità in relazione alle metropoli culturali, economiche e politiche da un canto e alle posizioni nazionaliste dall'altro, per collocarsi dentro le sfide contemporanee inaugurate con la fine della guerra fredda, fra le quali la globalizzazione dei problemi ecologici, le rivendicazioni autonomiste delle comunità indigene.
L'America Latina non è soltanto un continente delimitato dall'obiettività della storia e della geografia, ma è anche l'identità e lo spazio fisico dove avviene quotidianamente l'espressione di individui e comunità di origine afro-asiatica-indigena-latina, nella quale si manifestano il conflitto e l'integrazione di culture differenti, espressione che sfida, crea e stabilisce nuovi territori inter-soggettivi. Le questioni specifiche del continente connesse ai problemi ecologici di dimensione planetaria rappresentano la sfida per i "teorici" del continente. Nella conferenza di Rio la parola più utilizzata fu cooperazione. Ciascuno fu dell'opinione che secondo questa concezione dobbiamo favorire le relazioni di partnership tra tutti coloro che sono coinvolti nei programmi e progetti relativi all'ambiente e pertanto dobbiamo abbandonare l'attitudine paternalistica tradizionale.
Nuovi rapporti tra gli emisferi del Nord e del Sud passano necessariamente per una relazione di conoscenza e riconoscimento dell'uno e dell'altro. Un dialogo di questa portata non sarà un compito facile considerando che le posizioni degli uni e degli altri sono impregnate di rappresentazioni che rendono difficile (ma non impossibile) la comprensione reciproca.
L'apertura e la disponibilità nel ricevere lo straniero sono presenti nella nostra storia americana, nella letterature, nella musica, nelle arti, nel quotidiano e nel senso comune latinoamericano. Renderle praticabili anche negli aspetti ecologici, senza per questo rinunciare ai nostri principi, alla nostra cultura e ai nostri bisogni, è un compito che avrebbe conseguenze favorevoli per il continente e per il pianeta.[...]
Nel periodo iniziale del movimento ecologico latinoamericano, si argomentava costantemente in favore della partecipazione popolare. Idea questa collegata alla rivendicazione della democrazia, principalmente nei paesi di regime militare le cui politiche di sviluppo erano realizzate e dirette dai tecnocrati.
Oggi questo argomento non appartiene più in esclusiva ai gruppi di opposizione alle dittature, e tuttavia la partecipazione popolare non può essere il riflesso di politiche populiste e neppure di politiche di trasferimento alla popolazione di obblighi e compiti dello Stato. La partecipazione popolare deve essere pensata come esercizio di cittadinanza nazionale e planetaria.
Per questo motivo l'educazione in generale e l'educazione ambientale in particolare sono gli assi fondamentali per lo sviluppo di proposte e azioni basate sull'ecologia globale.
In questo senso dipenderà molto dalla cultura e dalla qualità della formazione della popolazione e delle élites la possibilità di stabilire relazioni fra gli emisferi Nord e Sud basate sull'equità, sulla giustizia e sull'ecologia.
La complessità della problematica ambientale nell'America Latina, richiede la partecipazione di tutti nell'elaborazione di progetti e nello sviluppo degli stessi, sebbene i gruppi sociali che si distinguono siano l'"élite accademica" che ebbe accesso alla formazione universitaria superiore, e l'"intellighenzia" produttrice di conoscenze, di idee, di comportamenti e di beni culturali.
Recentemente numerosi corsi di formazione in ecologia e ambiente furono avviati nelle Università latinoamericane e anche fuori da esse, sebbene, credo, sia prematuro considerare questi professionisti come specialisti e unici responsabili per i progetti sopra indicati. La cautela si giustifica, tenendo presente l'inesistenza di un'opinione condivisa su che cosa sia l'ambiente e le diverse interpretazioni tanto dal punto di vista filosofico quanto metodologico, situazione che riflette molto meno una salutare diversità, quanto piuttosto un opportunismo che sa approfittare della moda e delle risorse finanziarie disponibili.
D'altro canto, gran parte di questi corsi si basano su riferimenti e paradigmi classici della scienza e dell'educazione, senza realizzare le trasformazioni che questo tipo di formazione richiede. [...]
Nella formazione dei professionisti, sia nel Nord che nel Sud, è fondamentale che i programmi abbiano una prospettiva planetaria puntando sul lungo periodo a por fine al colonialismo culturale e a medio termine alla soluzione dei problemi di base vissuti quotidianamente dalla popolazione.
Oltre ai contenuti specifici si deve considerare la necessità di apprendere attraverso linguaggi e laboratori i contesti culturali, politici, sociali ed ecologici differenti.
La metodologia deve fondarsi su attività dialogiche dove si evidenzino e si confrontino differenti rappresentazioni e conoscenze di tutti gli attori del processo educativo alla ricerca di denominatori comuni con l'obbiettivo di definire un piano di azione.
La formazione specifica in ecologia globale e ambiente in questa direzione può aver conseguenze positive, anche se è difficile immaginarla nelle istituzioni tradizionali di formazione dove il professore (del Nord) insegna e l'alunno (del Sud) apprende.
Se le nuove istituzioni e i corsi offerti dalle università avessero realmente interesse a formare professionisti capaci, dovrebbero stabilire una pedagogia in cui si considera che non si apprende DA qualcuno, ma semmai CON qualcuno.
Un mutamento accademico in questa direzione mette in discussione gerarchie di conoscenze e di potere, situazione che poche istituzioni sono in condizione di affrontare, lasciando la possibilità di innovazione agli spazi di produzione e diffusione di conoscenze che non si basano sulla "validazione" attraverso titoli e certificati, ma che utilizzano concretamente la strumentazione teorica e tecnica di coloro che, indipendentemente dalla loro formazione accademica, stanno cercando nell'attività pratica di risolvere i gravi problemi ecologici della nostra epoca.
Marcos Reigota
Biologo Dottore nella Università di San Paolo [da "Jornal do Conselho Regional de Biologia" - San Paolo gen.-feb. '96]